giovedì 28 febbraio 2008

Un angolo di Cielo Carrara 23 febbraio 2007

Un dialogo a tre voci raccontando il passato per capire il presente.

L’autore del libro non era ancora nato quando la sconfitta della vertenza sindacale alla FIAT del 1980, culminata con la marcia dei quarantamila, chiudeva il ciclo di lotte iniziati nel 1968, ma il libro in questione parla soprattutto a loro, i giovani nati sotto le macerie del Muro di Berlino. Una discussione a cuore aperto tra tre generazioni di militanti, sognatori, organizzatori, che tutt’oggi riflettono sulle possibilità del cambiamento.

Apre la discussione Marcello Palagi curatore della presentazione, e protagonista in prima persona del movimento degli anni 70. La sua relazione pone una serie di questioni chiave nell’analisi del Movimento sessantottino: l’incapacità dei protagonisti di comprendere che il movimento stava chiudendo l’epoca dell’entrata del proletariato sulla scena mondiale; lo schematismo e il dogmatismo dei giovani che in maturità diviene riformismo, reazione, oppure delusione, disperazione.

Ne emerge un sessantotto sconfitto che è in grado tuttavia di generare profonde modifiche nei rapporti quotidiani: la fine dell’autoritarismo nella sfera pubblica, la libertà sessuale. Eventi, la cui portata si palesa nell’attacco a cui vengono oggi sottoposti.

Segue l’intervento dell’autore il giovane storico Antonio Imperatore, alias Daniele Maffione, che chiarisce fin da subito come lui, napoletano, sia stato colpito dalla storia carrarese. A partire dalle figure di partigiani come quella di Minozzi* per arrivare alla peculiarità del movimento operaio apuano.

Il libro vuole parlare di tutti coloro che ci hanno provato, riportando grandi vittorie, ma che non sono riusciti a realizzare completamente i loro progetti di cambiamento. In particolare Daniele ha deciso di parlare di un periodo storico pesante, il sessantotto, che ha visto condensarsi speranze, grandi avanzamenti di diritti sociali, ma che non ha portato a compimento quell’assalto al cielo che descriveva il rivoluzionario sovietico Lenin. Questa narrazione non ha la pretesa di esaurire l’argomento, al contrario ha come primo obiettivo quello di cominciare una discussione per rispondere alle pressanti domande dei giovani cresciuti nei famigerati anni 80-90: “Come si possono unire bisogni degli strati sociali più deboli e attività politica? Come mai oggi la distanza tra queste istanze è così grande? È proprio finita la storia (come storia di lotta di classe)?”

Ed è Giorgio Lindi, il sessantottino intervistato nell’opera, che tenta un primo approccio a queste questione facendo con alcune precisazioni riguardo la particolare composizione del movimento nella città di Carrara. A differenza di molte altre realtà il sessantotto apuano fu aperto da giovani proletari e non da studenti. Continua poi con la narrazione di eventi chiave di quegli anni, la fuoriuscita dal PCI di gran parte della componente giovanile, la contestazione alla Bussola dispersa dalla forza pubblica a colpi di pistola, l’organizzazione in quattro e quattr’otto di una colonna di macchine da Carrara per dare man forte agli operai torinesi repressi con violenza dalla polizia, il tentativo di organizzare una rete tra le esperienze simili fuori dal PCI, i dissidi le frammentazioni tra i gruppi nella visione di prospettiva ma anche l’unità nei cortei e negli obbiettivi pratici immediati.

La sala del ridotto degli animosi è al completo e seguono numerosi, come i convenuti, gli interventi, alcuni richiamando ad “antiche” polemiche tra situazionisti e organizzativisti altri cercando di trovare una lezione dai fatti e di fare tesoro delle esperienze dei “padri”, perché se è vero che la generazione attuale vive un pesante momento di riflusso, è vero anche che dispone di molti più dati empirici per aprire un discorso critico su quelle esperienze.

Se una lezione si può trarre da questa presentazione, è quella che alla modernità, caratterizzata da passività e conformismo, non si può rispondere con formule magiche.

Forse si può ancora guardare ed imparare da quei sessantottini che, anche se sconfitti, sono ancora in grado di parlare e confrontarsi in un progetto comune con le generazioni più giovani, una sorta di filo rosso che lega la vittoria nel ’17, le battaglie del ’36, la resistenza del ’43 fino ad arrivare al ‘68.

1 commento:

Anonimo ha detto...

sventolino emana un fetore nefasto