sabato 8 dicembre 2007











Salgono a quattro le vittime del rogo. I testimoni: gli estintori erano vuoti

TORINO. Le vittime per il fuoco alla ThyssenKrupp sono diventate quattro: bilancio sempre più inaccettabile. Ieri mattina è morto Roberto Scola, 33 anni e due figli piccoli. Nel pomeriggio non ce l’hano fatta neppure Bruno Santino, 26 anni, e Angelo Laurino, 43 (due figli anche lui). Gli altri tre feriti sono gravissimi. La parola, ora, tocca ia magistrati: la società è finita nel registro degli indagati ed è possibile, se le voci raccolte in procura saranno confermate dagli accertamenti, che i manager di primo livello della multinazionale tedesca siano chiamati a rispondere di accuse gravissime. Raccontano i testimoni: «Alla acciaieria in smobilitazione si lavorava sino a sedici ore consecutive». E ancora: «La manutenzione vera e l’attenzione alla sicurezza è cessata con la decisione di chiudere lo stabilimento torinese». Peccato che ad ottobre fossero state dirottate da Terni importanti commesse e che lo spaventoso rogo di mercoledì sia scoppiato a causa della rottura di un lungo flessibile contenente olio. La prima mossa della magistratura è di aver alzato il tiro: la società è stata indagata sotto il profilo della responsabilità amministrativa. Lo consente una legge entrata in vigore a fine agosto che, oltre ad addossaresanzioni economiche importanti alle aziende «colpevoli», consente ai pm di far scattare misure in via cautelare misure decisamente più pesanti, fino al sequestro degli stabilimenti. Il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, affiancato dai pm Laura Longo e Francesca Traverso, ha impostato il lavoro su due fronti: accertare le responsabilità dell’incendio e prevenirne altri in futuro. Il riflesso dei primi accertamenti sulle condizioni di sicurezza svolti in fabbrica da vigili del fuoco, ispettori dell’Asl e della polizia scientifica . Ma si vuol andar oltre e fare in fretta (2-3 giorni) per verificare se «ogni luogo» della grande e obsoleta acciaieria consente di lavorare in sicurezza ai poco meno 200 lavoratori rimasti (nel 2002 erano quattromila). Altrimenti è probabile che scatti il provvedimento più drastico. La procura ha pure chiesto ai servizi ispettivi dell’Asl di fornirle la documentazione sui controlli di questi ultimi anni nello stabilimento. I testimoni hanno parlato di estintori vuoti o quasi, e a tarda sera era ancora in corso l’accertamento disposto dai pm per verificare quanto dichiarato loro dai lavoratori. Punta di un iceberg di irregolarità che erano evidenti già nel 2002, al tempo dell’incendio domato in tre giorni: allora i vigili del fuoco ritennero che si dovesse investire 1,5 miliardi di euro per rifare l’intero stabilimento. Mentre proseguono le indagini, le famiglie delle vittime insistono nel chiedere giustizia. «Mio marito è morto per un omicidio non per un infortunio sul lavoro» grida disperata Sabina Laurino, moglie di Angelo, 43 anni, padre di due ragazzi, Fabrizio e Noemi di 12 e 14 anni. «Lavorare in quella fabbrica, senza nessuna garanzia di sicurezza, è stata la sua condanna a morte - prosegue Sabina -. E adesso non solo sono rimasta senza il suo amore, ma dovrò conti su come allevare due figli adolescenti». Ancora accuse alla ThyssenKrupp: «Sono dei delinquenti e se la passano bene economicamente, non sanno che esiste gente come mio marito che la sera mangiava solo pane e salame per risparmiare. Mio marito mercoledì era andato a lavorare, non in guerra e invece è morto come una torcia umana senza neppure l’onore di un soldato». Alla ricerca di una verità «che ripari in qualche modo il dramma che stiamo vivendo» è anche Egla Scola, giovane moglie di Roberto, 33 anni, che ha smesso di soffrire all’alba di ieri. «Io ho 24 anni e non lavoro, mi occupo di Gabriele e Samuele che hanno 1 anno e mezzo e 3 anni. Come faremo a tirare avanti?». Desolazione e rabbia anche tra i familiari degli altri tre operai che lottano tra la vita e la morte: Rocco Marzo, 54 anni, Giuseppe Demasi, e Rosario Rodinò, tutti e due di 26 anni. Ieri è venuta a visitarli anche il ministro alla Sanità Livia Turco: «È inammissibile che in fabbrica si muoia in questo modo».

1 commento:

Charlie ha detto...

Sarebbe meglio tutelare i lavoratori anzi che farsi i conti in tasca. VERGONA!